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P20005 Il giudice nel tempo difficile dell’informazione globale



Si usava dire un tempo – adattando al caso una celebre espressione di Eduardo De Filippo – che il giudice deve sentire solo “le voci di dentro”. Egli, come è scritto in una celebre, bellissima pagina di Piero Calamandrei, nel momento della decisione deve essere solo, chiuso nella sua stanza, con l’unico strumento della sua dottrina e l’unica guida della sua coscienza.

È questa un’immagine molto suggestiva, e in parte sarebbe ancora attuale: se non fosse che, rispetto a quando scriveva Calamandrei, è cambiato radicalmente il contesto esterno. Il giudice, come capita a chiunque vive nella società contemporanea, sente inevitabilmente, lo voglia o no, anche “le voci di fuori”. Sente cioè il “rumore del mondo”: principalmente quello veicolato dai media, invasivi e pervasivi, capaci di orientare l’opinione pubblica anche senza che essa ne sia consapevole, di imporre attraverso le parole e spesso soprattutto le sole immagini (il loro segreto linguaggio) pregiudizi e suggestioni che possono, lo si voglia o no, penetrare nella stanza chiusa del giudice e influenzarne le decisioni.

In Italia il fenomeno è venuto all’ordine del giorno qualche anno fa, con le prime trasmissioni dei processi (il celebre “Un giorno in pretura”). Processi – ben inteso – sminuzzati, tradotti in frammenti a discapito della loro organicità fisiologica, privati dei loro indispensabili elementi tecnici, ignoti al grande pubblico dei telespettatori; e infine spettacolarizzati.

Poi il fenomeno si è tradotto in qualcosa di più subdolo e inafferrabile: perché l’uso (e l’abuso) dell’immagine (a cominciare da quei corridoi dei palazzi di giustizia, da quei carrelli stracolmi di fascicoli che sono diventati il simbolo stesso della attività giudiziaria) ha finito per costituire un clichè. La “narrazione” che i media fanno della giurisdizione è basata su questi elementi quasi di routine: ne tradisce spesso la reale esperienza, impone senza farsene accorgere miti e false rappresentazioni, sino ad arrivare all’eccesso diseducativo del processo celebrato nelle trasmissioni televisive prima che nelle aule giudiziarie.

Il tema, attualissimo, è stato affrontato molte volte nei corsi della Scuola, attraverso il confronto tra magistrati, giornalisti della carta stampata e dei media visivi, scienziati sociali e esperti dell’informazione.

Cosa comporta questa invasione dei media nell’esercizio concreto della giurisdizione? Come può il giudice restare indipendente anche quando le “voci di fuori” sono così assordanti? Può sottrarsi il magistrato alle leggi apparentemente inesorabili della comunicazione? Può cioè “parlare solo per sentenze”? O deve adattarsi e formarsi professionalmente al fine di non subire l’aggressione mediatica e di gestirla amministrando saggiamente la sua presenza nel video e la sua partecipazione all’informazione pubblica?

Il corso intende porre queste domande e approfondirne le possibili risposte.


Caratteristiche del corso: 

Area: comune
 

 

Organizzazione: Scuola superiore della magistratura; durata: quattro sessioni (due giorni e mezzo); metodologia: mista (relazioni frontali, dibattito, laboratori e gruppi di lavoro); numero complessivo dei partecipanti: novanta; composizione della platea: settanta magistrati ordinari, quindici magistrati onorari e cinque avvocati.

Eventuali incompatibilità: saranno posposti rispetto ad ogni altro richiedente coloro che risultino essere stati ammessi ai corsi P18033 e P19025.

Sede e data del corso: Scandicci, Villa di Castel Pulci, 27 gennaio 2019 (apertura lavori ore 15.00) – 29 gennaio 2019 (chiusura lavori ore 13.00).